Prosa
Fede

Dialogo tra un credente e un ateo

Credente -  Tu dici che questo “ meccanismo perfetto “, che è l’uomo, è creatura della materia… è frutto del magma primordiale…del caos iniziale?

Ateo – Proprio così.  L’uomo è creatura della sostanza primigenia. L’adattamento all’ambiente ne ha determinato il processo di trasformazione e di evoluzione …

Credente – Tu parli di sostanza primigenia, altri di magma primordiale, altri di caos ... Resta comunque la domanda: qual è l’origine di questa sostanza, di questo magma, di questo caos dal momento che non solo non è rimasto allo stato primordiale ma si è trasformato e si riproduce in forme evolute? … La trasformazione presuppone una nascita, obbedisce ad un bisogno e la riproduzione ad un fine. Qual è il fine del nascere e quale il fine dell’adattarsi? 

Ateo – ... la conservazione della specie, naturalmente…

Credente – La conservazione della specie? Dunque, procreare, nascere, venire alla luce ha un progetto che va oltre, oltre il contingente, un progetto che viaggia nel tempo, frutto di un’idea… un’idea che è sapienza, intelligenza. Stento a credere che sapienza e intelligenza possano essere frutto del caos. Conservare la specie è un progetto che sa di coscienza, di consapevolezza... Tu dici conservazione della specie sic et simpliciter… Ammettiamolo pure, ma ti chiedo: conservare la specie perché… per chi… a chi giova…chi lo vuole?...

Ateo  -… E’ inutile che arzigogoli... Dio non esiste … esiste solo ciò che si vede e si tocca... esiste solo la materia e i processi chimici da cui deriva il pensiero.

Credente - … Dunque il pensiero, che pure non si vede e non si tocca, al massimo si percepisce con uno stesso atto intellettivo, è frutto di un processo chimico? E quali sono gli elementi chimici che combinati producono quel pensiero e non un altro? Perché una platea ad uno stesso input risponde in modo diversificato? 

Ateo- dimentichi la psicologia –

Credente – allora il pensiero non è solamente il prodotto di una reazione chimica ma implica la combinazione di altro. Le riflessioni, le considerazioni, le progettazioni… Il capire e il non capire, l’intelligere, il libero arbitrio, la capacità di decidere non possono essere solo il risultato di un processo chimico... A questo punto mi viene in mente il passo della Genesi, quello in cui si dice che Dio creò Adamo dal fango e vi alitò lo spirito, ammettendo, sia pure in modo implicito, la dualità tra spirito e materia. Questo passo, a mio avviso, apre anch’esso degli interrogativi, ma dà una spiegazione più credibile e coerente ai dati di fatto. 

Cattolica o cristiana?

Se qualcuno mi chiede: sei cattolica? Rispondo semplicemente: sono cristiana. Ogni altra denominazione aggiuntiva, cattolica, ortodossa o protestante, nel momento in cui va a marcare l’appartenenza ad un gruppo confessionale piuttosto che ad un altro testimonierebbe la divagazione dall’assunto fondamentale della parola di Cristo. Se è vero che Cristo non ha lasciato scritto nulla di suo pugno e che i Vangeli sono frutto di una memoria, anche collettiva, che potrebbe aver aggiunto, modificato o dimenticato, tuttavia è pur vero che la sintesi della sua vita e della sua Parola è Amore e che, al di là delle divergenze interpretative dei testi, Amore è la fonte a cui ispirarsi e a cui attingere.
Un Amore totale e assoluto che si invera nella pratica di un eterno presente, un amore incondizionato che rimane tale per tutti e per sempre anche per i propri carnefici, anche nei momenti di atroce sofferenza, un amore che non fa differenza tra meritevoli e non meritevoli, tra buoni e cattivi, un amore che non si divide né divide, un amore che unisce, che non genera guerre ma pace, non crea odi, smembramenti, divisioni, contrapposizioni, ma unità e concordia, un amore che non punisce ma perdona, non convince con anatemi e costrizioni, non manda all’inferno ma accoglie nella pienezza della sua gioia. Un amore che indica la via, lascia a ciascuno la libertà di scegliere e di decidere senza obblighi né imposizioni. Un amore alimentato dall’obbligo o dalla paura, oltre ad essere arido e improduttivo, nella pratica religiosa è capace di sortire un solo effetto deprecabile, quello di ridurre l’orizzonte dei deboli all’obbedienza fine a se stessa e all’osservanza anemica di pratiche liturgiche nella speranza di averne qualcosa in cambio.
Nell'ultima cena Gesù diede da bere e da mangiare a tutti i suoi discepoli, anche a Giuda, che lo aveva venduto, e a Pietro che lo avrebbe rinnegato. In ogni funzione religiosa, in cui si commemori quell’episodio e che dovrebbe vederci uniti tutti nell’amore e nel perdono, il pane e il vino dovrebbero essere offerti a tutti, senza esclusione, indipendentemente dallo stato di grazia sancito dalla confessione e, se mai, infranto subito dopo.
La divisione in buoni e cattivi, se pure giusto, nel momento in cui esclude non è un atto d’amore.
Il Padre evangelico non ripudiò il figliol prodigo, non gli impose nessuna penitenza in cambio del perdono. Attese nella sua bontà che maturasse in coscienza e consapevolezza, che tornasse a Lui senza coercizione e, quando tornò, lo accolse con gioia e con gratitudine, perché lo aspettava e perché, tornando, ricolmava la totalità del Suo amore fino ad allora, oserei dire, deprivata della sua assenza.                            

Un equilibrio da ricomporre

Mi sono spesso interrogata sulla presenza del male. L’idea che fosse uno strumento divino, una punizione per convincere l’uomo a rigare dritto, per la verità, non mi ha mai convinta. Il Dio evangelico, quello in cui credo fermamente, il Dio Amore, non può servirsi della sofferenza e del male perché l’uomo rinsavisca.
Come si spiegano, allora, il male e la sofferenza?
È un interrogativo che mi sono posto, in modo caparbio, più e più volte in questi giorni di quarantena per la pandemia da covid19 - Perché tutto questo… perché? - e ogni volta, nell’angoscia della mia memoria, rivedo ancora quelle file di camion militari, pieni di cadaveri stipati, muoversi mestamente lungo il deserto della strada vuota, avvolti nel silenzio di un pianto senza nome e senza pace. No. Dio non può aver voluto questo!
Da un lato ho cercato conforto nelle pagine del Vangelo e nella parola dei padri della Chiesa, dall’altro ho cercato di razionalizzare le mie paure andando più a fondo al problema nella speranza, conoscendolo meglio, di poterlo affrontare con più coraggio.
L’informazione trasmessa dai mass media, martellante, unidirezionale e monotematica, se, per quanto riguarda il contagio, è stata ed è prodiga di dibattiti e consigli, per tutto quanto il resto è stata e continua ad essere molto reticente.
Si è parlato e si parla degli effetti catastrofici di questa pandemia, degli errori commessi, delle precauzioni suggerite, delle prescrizioni imposte, dell’andamento giornaliero del contagio, dei guariti e dei morti ma non si è parlato e non si parla, in modo organico e chiaro, di quello che più preme: Perché e da dove viene questa malattia.
La certezza divulgata è che il Covid19 è una zoonosi, vale a dire una malattia di origine animale, il cui virus, per motivi favorenti, ha fatto un salto di specie, passando dall’animale all’uomo in cui si è trasformato geneticamente e da cui si trasmette per contagio.
Ma, il virus, come è passato dall’animale all’uomo?
Su questo le informazioni dei mass media sono omissive ed evasive.
È vero che, dal punto di vista medico-scientifico, le conoscenze sulla mappa genetica del Covid19 sono parziali e che gli studi sul vaccino sono in una fase ancora iniziale di sperimentazione, ma è pur vero che si conosce abbastanza altro per avviare una prevenzione a monte. Ma di questo o non si parla o lo si fa incidentalmente.
Dietro questa pandemia c’è una realtà che va oltre ogni immaginazione, una realtà fatta di allevamenti industriali intensivi, mattatoi, filiere di lavorazione, domanda e consumo, interessi economico-politici, tutto e tutti corresponsabili dell’immane disastro che stiamo vivendo.
Una realtà da horror. Causa di disboscamento e deforestazione, di inquinamento dell’ambiente e delle falde acquifere, responsabile dell’estinzione dei piccoli allevamenti e della chiusura di mattatoi comunali, l’allevamento intensivo a cui si fa riferimento, quello industriale, non ha nulla da spartire con le immagini bucoliche che ci vengono propinate dalla pubblicità. Aree sconfinate che, viste a volo d’uccello, evocano tutte immagini di tappeti di velluto ondeggiante, viste da vicino si scopre che sono frutto di illusione ottica.  Ciascuna è un immenso recinto con migliaia e migliaia di animali stipati e compressi l’uno contro l’altro, nella broda dei loro escrementi, senza potersi muovere, abbandonati, maltrattati e, con un sistema a catena di montaggio, imbottiti di sostanze discutibili, anche pericolose, al fine si accelerarne l’ingrassamento. In queste ammucchiate avviene un primo contagio di agenti patogeni, quello biologico da specie a specie. Non mancano i controlli sanitari ma, dato l’enorme numero di capi, i controlli non vengono eseguiti singolarmente ma a campione, per cui non costituiscono una garanzia certa contro un’eventuale epidemia. Solo nello scorso anno, in alcune parti del pianeta terra, sono stati uccisi e bruciati milioni e milioni di maiali infetti da peste suina.
Nei mattatoi, nelle industrie connesse, nel consumo di carne di animali infetti avviene, poi, un successivo contagio, quello del salto di specie del virus dall’animale all’uomo, lo spillover, già responsabile in passato di altre malattie di origine animale, dette zoosi.
Sì, perché questo virus, già preannunciato nel 2012, dall’americano David Quammen, nel suo libro Spillover, non è il primo agente zoonotico ad averci colpiti e non sarà certamente l’ultimo. Tuttavia, come se niente fosse, gli allevamenti intensivi e tutto l’indotto collegato continuano a proliferare e a produrre ogni giorno a ritmo incessante per soddisfare una domanda di consumo che cresce a ritmi ancor più veloci e pressanti di quelli della produzione. Nel 2014, secondo le statistiche della FAO, in tutto il mondo sono state consumate 312 milioni di tonnellate di carne per una media annua di 43 kg per abitante.
In questa domanda planetaria c’è la richiesta di tutti noi e di ciascuno, che, in quanto uno, è convinto di non avere nulla a che spartire con questo problema e col suo meccanismo. È solo una convinzione di comodo o di inerzia mentale.
La verità è che la carne, sulle nostre tavole, ha sostituito il pane, quello che viene invocato a Dio come dono quotidiano nel Padre Nostro. Ci sfugge questo e ci sfugge anche il fatto che la carne ha sostituito il pane non per volontà d’altri o per caso, ma per nostra volontà e scelta, a caro prezzo pure, considerato quanto è accaduto e quanto sta accadendo.
Sembra impossibile che un solo individuo possa cambiare il mondo nel bene e nel male, eppure è cosi.
Il battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo e un sassolino gettato nel mare sconvolge tutte le acque dell’oceano. Sembra assurdo ma è vero.
Oltre ai fatti c’è anche la natura che, con il suo linguaggio, risponde al nostro interrogativo: Perché il male e la sofferenza… perché tutto questo?
Questa domanda, però, non va fatta a Dio.
Dio non c‘entra nulla con il male e la sofferenza che ci hanno colpiti.
La risposta è solo nelle nostre scelte e nei nostri comportamenti.
Abbiamo rotto un equilibrio e siamo chiamati a ricomporlo.
Certo, è umano e di conforto rivolgerci a Lui e chiedergli che ci aiuti e ci dia la forza di superare questo momento, ma nella consapevolezza che dobbiamo essere noi, con la nostra volontà, a dare una dritta più giusta e più vera alla nostra vita, magari assumendo abitudini più oculate e responsabili e attuando comportamenti più in armonia con tutto il creato.
Dio nella sua bontà, anche attraverso il male e nella sofferenza, ci aiuterà a trovare la via verso il bene, a patto, come già detto, che ciascuno di noi lo voglia e si adoperi in prima persona. 

Sto scrivendo sul tavolo da cucina

So scrivendo sul tavolo da cucina come ero solita da bambina quando la vicinanza di mia madre, il suo affaccendarsi, gli odori di sempre e di ogni giorno erano per me la normalità e mi facevano sentire più protetta. Mi sono messa qui perché, strappata alla normalità di ogni giorno, mai come ora ho sentito il bisogno di un appiglio alla mia fragilità. Ora ho conosciuto quello che sapevo. Ora so che non basta sapere se non si sperimenta.
Quante lezioni imparate, discusse, ripetute a memoria hanno arricchito solo il nostro bagaglio nozionistico. Sì, perché sapere qualcosa non equivale a conoscere, e conoscere vuol dire sperimentare, vuol dire cogliere le ragioni profonde, capire, condividere, interiorizzare e farne pratica di vita. Dio ci ama, dobbiamo amare il prossimo,  non dobbiamo fare del male  quante volte lo abbiamo ripetuto con le labbra e quasi mai come verità interiorizzata e sperimentata? Quante volte abbiamo addebitato a Dio che ama le ragioni del nostro dolore, di quel dolore che chiamiamo male. Perché allora il male.
Oggi, in questa situazione di estremo scoforto e disagio, in questo momento in cui la comunità umana, tutta, è messa drammaticamente difronte a tutti i suoi limiti, in cui al problema della pandemia si affianca con la stessa drammaticità se non maggiore il problema economico dell’andamento delle borse, oggi quelle nozioni apprese sull’amore, sulla solidarietà, cominciano a caricarsi di un sapere sofferto. Dio è Amore, l’ Amore  è Armonia, L’Armonia è equilibrio.  La pandemia è il risultato di uno squilibrio che certo non ha provocato Dio. Non è forse l’opera dell’uomo che ha rotto l’equilibrio tra il sé e gli altri, tra l’utile individuale e quello collettivo?

La più grande e la più bella storia d'amore

Leggere il Vangelo cambia la visione del mondo e della vita. Ne sono più che convinta oggi, con tanti anni di esperienza alle spalle che mi consentono di cogliere un rapporto più concreto e inoppugnabile tra il testo evangelico e la vita quotidiana. Al di là delle tante disquisizioni critiche, se volessimo riassumere i Vangeli in una sola parola che li unifichi in modo inconfutabile, questa parola è sicuramente Amore. Se, poi, ci fermiamo un attimo a riflettere sulla nostra vita e su quella altrui, cogliamo un solo dato che ci unifica tutti, senza alcuna eccezione: il bisogno di amare e di essere amati. E se, ancora, volessimo cogliere un dato unificante Dio e gli uomini, ancora una volta è l’Amore, il denominatore comune, il solo capace di ricomporre i due termini in una totalità assoluta. Non a caso qualcuno ha definito la Matematica il linguaggio di Dio. Sta di fatto che i testi evangelici non solo testimoniano l’Amore come Essenza in Dio e come anelito negli uomini, ma testimoniano anche l’incessante ricerca, da parte di Dio e da parte degli uomini, di ricomporre, mediante questo loro denominatore comune, quell’unità infranta nella Genesi. Nel primo racconto di Luca (8,26-38), noto come Annunciazione a Maria, è Dio a chiederla alla creatura, nel secondo (15,11-32), noto come Il figliol prodigo, è la creatura a chiederla al Padre.
Quello dell’Annunciazione a Maria, evento che nel calendario cristiano si commemora il 25 marzo, è uno dei passi più toccanti del Vangelo. Dio, l’Onnipotente, chiede all’uomo la ricomposizione dell’Alleanza con una umiltà che disorienta.
Il racconto, seppure essenziale e scarno, si dilata in una pregnanza di significato e si carica di una valenza evocativa che disorienta ed affascina.
Solo due creature, l’Angelo e Maria, ma chi permea di sé tutto lo spazio e parla nella continuità del suo silenzio è Lui, Dio, l’Onnipotente, l’Onnisciente, l’Onnipresente, che, pur essendo fuori dalla scena, vi aleggia nella trepidazione dell’attesa.  L’umiltà di Dio e la fragilità della sua creatura costituiscono in questo passo il pilastro su cui l’Amore ricostruisce l’unità perduta.
È il sovvertimento d’ogni logica corrente!
L’Onnipotente, Colui che tutto può, si piega dinanzi alla fragile fanciulla e le chiede il fiat con i modi e le parole toccanti di una dichiarazione d’Amore.
Glielo chiede tramite un emissario, con una tenerezza che commuove, e attende in disparte. Attende e, nel silenzio dell’attesa, Lui, l’Eterno, entra nel tempo e si fa uomo tra gli uomini.
Il Divino e l’umano si congiungono.
Quale sintesi d’amore più vera e più totale!
Capisci allora che la nostra è anche la Sua sofferenza, che l’amore è vita ed è pienezza, che solo Lui, l’Amore, è capace di scrivere la più bella e la più grande storia d’amore d’ogni tempo. 

La mia Pasqua

A volte non fa male fermarsi a riflettere su alcune verità o consuetudini che si danno per scontate. Mi capitava prima e mi capita molto più spesso adesso in cui mi sento più incline a fare i conti con me stessa e con la vita. Quando ero piccola mi piaceva tanto recitare ai piedi del letto la preghiera all’angelo custode. Mia madre me la sillabava ma io ero solita aggiungere alle parole che mi venivano dettate anche di mio. Lo chiamavo per nome e cognome, Angelo Custode, poi gli parlavo e gli raccontavo di tutto e di più.  Era per me un amico, il mio amico. A volte, durante la giornata, giocavo con lui. Docile e silenzioso, mi stava sempre accanto ed io la sentivo la sua vicinanza, a volte anche il suo respiro. Quando divenni madre quella preghiera la insegnai ai miei figli e loro la recitavano con lo stesso abbandono e la stessa confidenza con cui la recitavo io da bambina e, come me da bambina, anche loro si addormentavano tranquilli e sicuri che lui, l’amico loro, li avrebbe protetti sempre e comunque. Ma per me la magia di quel rapporto era ormai solo un ricordo nostalgico. Con gli anni la mia fede, divenuta più adulta per luogo comune, mi allontanò da lui. Pregavo. Ho sempre continuato a pregare non più lui, il mio angelo custode, ma solo il Buon Dio. Recitavo preghiere, tante preghiere di ringraziamento e di aiuto nei momenti belli e brutti della mia vita ma, devo confessarlo, quel sollievo provato durante e dopo quella preghierina della mia infanzia non riuscii mai più a trovarlo. E pure le mie preghiere e il mio modo di pregare erano correttissimi, non facevano una grinza, molto più corretti di quell’angelo custode a cui aggiungevo confidenzialmente anche di mio. Il testo delle mie preghiere era quello canonico, il cerimoniale pure. Croce, genuflessione, colpi al petto e raccoglimento, che si traduceva, quest’ultimo, in silenzio, capo chino e niente distrazione. Ma, nonostante la ferrea osservanza delle regole, le preghiere non mi procuravano il beneficio di quella mia prima preghiera. Il buon Dio rimaneva distante da me. Mi arrovellavo e, nella ricerca di un perché, mi sentivo insidiare dal freddo di una crisi di fede. Nella paura di quel freddo, mi legai ancor più alla mia famiglia, ai miei figli, ai miei cari, ma non abbandonai la preghiera, quella recitata come rituale, nel rispetto e nell’osservanza di un protocollo adulto.
Poi venne quel giorno… Un giorno in cui il dolore mi colse più impreparata che mai.
Avevo conosciuto la perdita di persone care. Avevo provato e fatto i conti con il dolore, quello lacerante e ingestibile, ma quella volta il dolore per me fu più straziante. Chiusa nel silenzio della mia camera alzai lo sguardo a Lui, a Dio, e con aria di sfida gli gridai: - Dove stai? Dimmi, dove stai?... -  e, nell’attesa di una risposta, scoppiai a piangere. Il tepore delle lacrime, che mi scorrevano dal petto e sul volto, e la pietà del silenzio amico mi sciolsero la tensione in una confidenza intima con Lui.
- Lo vedi come sono ridotta… - gli sussurrai - ho perso tutto… non ho più nulla… -
Mi strinsi la testa tra le mani e, senza più voce né forza, gli parlai senza aprire bocca. Gli parlai delle persone che avevo amato, che amavo ancora e che avevo perso. Gli parlai di me, di loro, dei momenti vissuti insieme a loro, delle gioie, dei dolori, dei sogni, delle speranze, delle attese.
- Sono ancora vivi qui… qui dentro… - gli dissi battendomi il petto – Di qui tu non potrai mai togliermeli… Sono parte di me… Senza di loro non starei qui con te! -
Sussurrai queste ultime parole, con il trasporto e la confidenza di un’antica preghiera e, in quell’abbandono gli ripetei:
-  Senza di loro non starei qui con te!... –  
Fu istantaneo. Come in un lampo, mi fermai a riflettere su quello che avevo detto. Dunque, chi non c’era più mi aveva portata a lui… E io?… Dove ero io?... Io ero lì, con Lui.
Lo percepii d’istinto, come mai l’avevo percepito.
Per la prima volta me lo sentii accanto con la stessa consapevolezza e intimità con cui tanti e tanti anni addietro sentivo la vicinanza di quell’angelo amico. Me lo sentii amico e padre come mai lo avevo sentito.
Mi abbandonai a Lui e piansi e il mio pianto non sapeva di disperazione.
Lo avevo trovato, il mio Dio, nella preghiera dell’abbandono, nel dolore e nella gioia della mia Pasqua.  

A te, Pellegrino di Pace

Mai… non avrei mai potuto immaginare di vivere uno dei momenti più intensi ed esaltanti della nostra storia… un momento di sinergia coagulante tra i grandi della politica e un grande della fede… Tu, Grande tra i grandi della terra, pellegrino, privo di insegne e di alabarde, nell’umile veste della quotidianità, li hai raggiunti, affaticato e claudicante… Li hai raggiunti per unirti e unirli a te nel progetto di pace a tutela non di una parte ma dell’ intera umanità minacciata non solo dai mali di sempre ma, soprattutto oggi, dalla galoppante tecnologia… 
Hai evocato per te stesso e per gli altri i due capisaldi da cui partire e a cui attenersi: Etica e Responsabilità…valori al di là e al di sopra d’ogni interesse di parte.  Superando gli atavici confini delle proprie competenze, Tu e i membri del tg7, in questo incontro, avete segnato ufficialmente, per la prima volta nella storia dell’umanità, un ascolto sinergico nei
riguardi di un progetto di sintesi operativa convergente verso il comune intento del bene e della pace dell’umanità intera.
Mi hai commossa… Mi sono commossa nel vedere te e i Grandi della terra stringerti la mano, salutarti con affetto e unirsi nell’ascolto delle tue parole sui pericoli della intelligenza artificiale… sul progetto di pace. Mi ha commossa il contrasto tra la tua fragilità, simile a quella di un bambino che ha bisogno di un sostegno per muoversi, e la tua volontà granitica di combattente.  Mi hanno commossa le tue parole…  mi ha commossa la tua fragilità maestosa… mi ha commossa la tua ondata d’amore…
Grazie, Padre, grazie.